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Trentatré è il numero di processi che si sono celebrati contro Pier Paolo Pasolini e molti di più i procedimenti. Uno processo per anno che invece sono soltanto uno. Un solo oggetto e una sola finalità, mettere in dubbio la legittimità dell’esistenza del poeta nella società e nella cultura italiana di allora. Da Casarsa nel 1949 in poi e anche dopo il suo assassinio la persecuzione alle sue opere è continuata, ma non solo. Pasolini continua a essere diffamato, perseguitato e accusato di tutto ciò di cui i tribunali furono costretti ad assolverlo per mancanza di prove. Durante la sua vita i capi d’accusa furono diversi, al fondo però, il senso di un’unica imputazione. Quale?
Diversità. Ma una diveristà particolare. Non quella del trasgressore violento della legge. Piuttosto l’intento consapevole e umile di chi scopre i limiti della tollerabilità e li mette costantemente in discussione. Pasolini riesce sempre a spuntare l’assoluzione effettiva, guadagnando a sé e agli altri nuovi spazi. Ma non si contenta. Rompe nuovamente gli schemi di giudizio della magistratura ogni volta mette a punto. [1]
È esistito dunque un meccanismo molto preciso con lo scopo di distruggere Pasolini. Di cosa si nutrirebbe questo meccanismo? Bene, si tratta di una spirale. I processi alimentano la stampa, la stampa amplificando l’immagine di un Pasolini pericoloso e mostruoso, alimenta le denunce, le denunce alimentavano nuovi processi, magari per fatti mai accaduti. Un meccanismo perverso. Al culmine, c’è licenza di uccidere. Per la destra è stato un simbolo, da esecrare senza mezzi termini. Anomalo sessuale, psicopatico pericoloso, così veniva definito abitualmente. E così viene descritto pochi giorni prima del processo di Latina, da una agenzia di informazioni, Stampa Internazionale Medica, che distribuì ai giornali una relazione su Pasolini compilata per incarico della parte civile del professor Aldo Semerari.[2] Il linguaggio usato contro di lui era irriducibilmente volgare. Quando gli venne conferito il premio Città di Crotone per il romanzo Una vita violenta, il prefetto di Catanzaro annullò il riconoscimento. La tensione emotiva che egli riusciva ad attizzare era proporzionale al crescere della sua notorietà e alla sua autorevolezza di artista.
Corruzione di minorenne: è il primo reato che viene contestato a Pier Paolo Pasolini. Siamo nel 1949, a Casarsa nel Friuli, durante la sagra di San Sabino. Pasolini è un giovane professore. Il suo nome viene implicato in atti osceni pubblici. Solo quattro anni prima, del 1945 Pasolini si era laureato in Lettere discutendo una tesi su Pascoli, insegnava da Roma cinque anni nella scuola media di Valvasone, in provincia di Udine quando, nell’ottobre 1979, fu denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Il giovane Pasolini pagava così il suo impegno politico e lo pagava con la vergogna di uno scandalo pubblico. In verità durante quell’estate Pasolini aveva vissuto più apertamente, anche se non senza angoscia, la sua omosessualità e una sera a Ramuscello, una frazione di san Vito al Tagliamento, si era appartato con alcuni ragazzi. Qualcuno poi aveva parlato e la cosa, anche se non ci fu la querela dei genitpri dei ragazzi, finì in mano ai Carabinieri e poi in Pretura. La faccenda non avrebbe mai avuto l’eco che ebbe se la stampa cattolica del luogo non avesse strumentalizzato il tutto per fini politici. Di fatto, lo scandalo si gonfiò: Pasolini fu allontanato dall’insegnamento e epulso dal PCI per indegnità morale e politica[3]. Lo stesso Pasolini scriveva quei giorni all’amico Ferdinando Mautino, della Federazione di Udine:
Fino a stamattina mi sosteneva il pensiero di avere sacrificato la mia persona e la mia carriera alla fedeltà a un ideale; ora non ho più niente a cui appoggiarmi. Un altro al posto mio si ammazzerebbe; disgraziatamente devo vivere per mia madre. Vi auguro di lavorare con chiarezza e passione ; io ho cercato di farlo. Per questo ho tradito la mia classe e quella che voi chiamate la mia educazione borghese; ora i traditi si sono vendicati nel modo più spietato e spaventoso. E io sono rimasto solo col dolore mortale di mio padre e mia madre. [4]
Un anno dopo, nel dicembre 1950, Pasolini fu processato e assolto dall’accusa di corruzioni di minori. Poi, nel 1952, in appello, fu assolto anche da quella di atti osceni in luogo pubblico, per insufficienza di prove.
In seguito egli tornerà innumerevoli volte a sedere sul banco degli imputati, accusato di tentata rapina, vilipendio della religione di Stato, ricettazione, oscenità, lesione del comune sentimento del pudore, istigazione alla disobbedienza della disciplina militare, apologia ed esaltazione di fatti contrari alle leggi, disgregazione degli ideali dell’esercito, sovvertimento violento degli ordinamenti costituiti dello Stato, istigazione a commettere delitti.
Vedo che queste cose partono sempre dai giornali di estrema destra. Lo sa che su molti giornali è vietato fare il mio nome a meno che non si tratti di cronaca nera e di casi giudiziari? Ma io non ho mai fatto male a nessuno, né fisicamente né con i miei scritti … non so proprio spiegarmi la ragione di questo accanimento, di questo continuo linciaggio. Forse tutto dipende dal successo che i miei libri, il mio film, hanno avuto in questi anni. Sono convinto che se mi fermassi per un anno tutto si tranquillizzerebbe.[5]
Nel ’54 fu il suo primo libro di successo, Ragazzi di vita, che si attirò — insieme con le polemiche letterarie — l’accusa di oscenità. Il processo viene rinviato perché i giudici non hanno letto il libro, finalmente si si concluse con un’assoluzione. Premio Strega del ’60, l’anno della Ragazza di Bube di Cassola: alla presentazione dei finalisti, Pasolini lesse una lunga poesia che parafrasava l’orazione funebre di Antonio. Era contro Cassola, denunciava La morte del realismo. Nel ’60 fu querelato dai genitori di alcuni ragazzi, che lo accusavano di istigazione alla prostituzione. Nello stesso anno si dovette difendere dall’accusa di favoreggiamento: nella vecchia via Di Panico aveva preso a bordo della sua vettura un giovane che aveva partecipato a una rissa. Fu querelato da un giovane del Tiburtino 111, che si riconobbe nel personaggio di un suo romanzo.[6] Nel ’61 un distributore di benzina di San Felice Circeo, vittima di una tentata rapina, denunciò lo scrittore. Pasolini respinse ogni accusa. Al processo di primo grado, nel ’62, fu condannato a 15 giorni. In appello fu amnistiato.
L’unica considerazione seria da fare, con degli amici, è questa: l’italiano medio-borghese manca totalmente di ogni senso psicologico. La sua psicologia e miracolistica […] Non c’è da meravigliarsi se nei Tribunali è questa psicologia che vige. Dovevate sentire le bestialità pronunciate dai difensori di De Santis a proposito della mia psicologia![7]
Poi, nel 1968, in versi, Pasolini lanciò il suo anatema contro gli studenti figli di papà, e si schierò dalla parte dei poliziotti, figli del proletariato; si ritirò dal Premio Strega e invitò a votare scheda bianca; fu al palazzo del cinema del Lido di Venezia, fra i cineasti contestatori. L’irritazione che egli riusciva a seminare intorno a sé, si allargava. Nel ’69 lo querelò il regista Zeffirelli. Nello stesso anno il pretore di Venezia lo assolse per gli incidenti accaduti alla mostra cinematografica. Nel ’71 fu di nuovo sul banco degli imputati, dinanzi alla Corte d’appello di Torino, insieme con Pannella e esponenti di Lotta continua: gli vennero contestati i reati di disobbedienza alla disciplina militare, disgregazione degli ideali dell’esercito, eccetera.
Quasi tutta la sua produzione cinematografica è stata contrassegnata da denunce, polemiche, sequestri, processi, conflitti con le commissioni di censura. L’opera di Pier Paolo Pasolini non è mai stata accettata dall’establishment. Sin dall’inizio della sua carriera come scrittore, la creatività pasoliniana, le sue idee scomode e difficilmente assimilabili dal potere, gli procurano varie denunce e circa trentatré procedimenti giudiziari. Pasolini identifica un nuovo tipo di censura nel mezzo cinematografico, da lui definita come influenza ideologica. Si tratta di un arma complicata e sottile alle volte diabolica, attraverso la quale i censori fanno un’operazione di discredito sui registi:
Ecco perché, hanno nella classe dirigente in questo momento, puntato la sua rabbia, il suo livore, contro il cinematografo, lasciando un po’ perdere la stampa, dato che da un po’ di tempo la stampa è stata soverchiata come potenza di diffusione del cinematografo […] hanno chiamato appunto il cinema, strumento formidabile. Se ne rendono bel conto che è uno strumento formidabile, ecco perché essi cercano di soffocarlo o di impadronirsene completamente.[8]
Ma parliamo di una cesura della sua opera cinematografica che continuava ancora negli anni novanta, uno snaturamento dell’opera, una forma di consumo irrispettosa e anticulturale. Quando s’è trattato di decidere se comprare oppure no la Trilogia della vita per la ritrasmissione RAI, c’erano da confrontare le due edizioni, i film originali e quelli in versione televisiva. Spettatori che pensavano di aver visto Il Decameron, I racconti di Canterbury o Il fiore delle mille e una notte di Pasolini ma che invece avevano visto un’altra cosa.[9]
Ci spostiamo ora a Venezia, 31 agosto 1961. Accattone, il film di esordio di Pasolini viene presentato fuori concorso. È un’opera in cui la diversità e la provocazione autoriale sfidano la morale della classe borghese mettendo in allarme la censura del Paese. Alle perplessità della commissione selezionatrice della Mostra di Venezia e alle pressioni venute dall’alto segue una faticosa ammissione alla Sezione Informativa; Accattone riscuote un grande successo presso il pubblico presente alla rassegna cinematografica, ma subisce l’opposizione del sottosegretario al Ministero del Turismo e dello Spettacolo del governo Tambroni che con le sue istanze moraliste ottiene l’intervento del Ministro di Turismo. Il risultato di tutto ciò è inquietante : il film viene distribuito nei cinema italiani con divieto eccezionale ai minori di anni 18 (malgrado il divieto giuridicamente imponibile riguardi i minori di anni 16).
Nel mio caso, poi… A destra, nei giornali fascisti o clericali, c’è la malafede pura. Qui siamo davvero in pieno Kafka. Essi sono capaci di qualsiasi cosa, di negare le verità più lampanti, di distorcere le cose più semplici. Figurarsi cosa ci vuole a distruggere un film con la scusa dell’opinabilità di ogni giudizio del Rashomon della verità… Eppure per Accattone, pur masticando amaro, pur insultando, pur fingendo una indignata sufficienza, avevano in qualche modo dovuto accettarne l’esistenza, il fenomeno. Per Mamma Roma possono, invece, minimizzare. E questo perché? Perché la critica di sinistra, o la critica amica, in genere, ha avanzato sul film qualche dubbio.[10]
31 agosto 1962, per la prima volta nella storia delle rassegne cinematografiche internazionali, un film presentato alla Mostra di Venezia subisce una denuncia. Questo film è Mamma Roma. Il comandante del nucleo carabinieri di Venezia dichiara di aver visto nella sala del palazzo del cinema del Lido il film di Pasolini e di aver ravvisato offese al buoncostume, un linguaggio offensivo del comune senso della morale, contenuto osceno e contrario alla pubblica decenza. Sporge quindi denuncia al procuratore della Repubblica della città per gli interventi del caso. Il pubblico mondano del palazzo del cinema è turbato e infastidito dall’ambiente sottoproletario del film, alla fine della proiezione, fischi e proteste. Alcuni cronisti del Festival, abituati alle conferenze stampa di belle attrici e ricchi produttori, sono infastiditi della presenza al Lido della troupe di Mamma Roma. La presenza di Franco Citti, Ettore Garofolo e Piero Morgia, sembra una sorta di violazione, un sacrilegio. Seguono cronache e resoconti gonfi di razzismo.
La vicenda non si chiude qui: i benpensanti locali inviano alla Biennale lettere di protesta contro Mamma Roma, quasi tutte anonime zeppe di insulti e minacce. Le pressioni, le minacce e gli insulti organizzati ad arte non hanno successo, il 5 settembre 1962 il magistrato giudica infondata la denuncia contro Pasolini. Le aggressioni fascste continuano implacabilmente e lo accompagneranno oltre la morte.
Io non posso permettermi di sbagliare un’opera; sono ridotto a questo. Non sbagliare è un dovere che ho davanti a nemici e amici: i primi mi sbranerebbero, i secondi mancherebbero inmediatamente di un’arma di difesa nei miei riguardi. Sento che la fine di Mamma Roma sia la mia fine…le masse sono spietate. Sono come dei re. E io di fronte a questi re, ormai, sono un po’ come un giullare che se sbaglia un motto viene condannato a morte.[11]
La sera del 4 settembre 1964, Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini arriva alla Mostra di Venezia. Sin dal tardo pomeriggio volantini con oscenità e insulti vengono distribuiti al Lido dai neofascisti. Sono gli stessi che più tardi tenteranno di aggredire, all’ingresso del palazzo del cinema, Pasolini e il pubblico. Questo film provoca inmediatamente un caso di confusione isterica e paranoia collettiva. Il Cristo pasoliniano risulta molto scomodo, basta dare un’occhiata alla stampa per farsi un’idea della follia scatenata con quest’opera. Pasolini, con la dirompente ed inarrestabile forza creativa delle sue opere si impone e scompone e scompiglia costantemente qualsiasi presa di posizione. Dopo Il processo alla Ricotta, film accusato per vilipendio alla religione dello Stato, arriva al Festival cinematografico di Venezia Edipo re, film che subisce l’ennesimo linciaggio della stampa dell’epoca, critiche che dimostrano la rozzezza e l’anacronismo degli argomenti impiegati nei confronti di Pasolini. Egli è pienamente consapevole di questa situazione, la critica del suo Paese non si dimentica di lui… nell’affrontare le sue opere.
L’accidentato iter di Teorema inizia con la sua partecipazione alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 1968. Edizione caratterizzata dalla contestazione dell’ANA (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) contro i vieti meccanismi di competizione, i criteri di giudizio e di selezione dei film come previsti dallo statuto della Biennale, stilato in epoca fascista, e la riduzione del Festival a un costosissimo appuntamento mondano, a discapito del suo livello culturale. Pasolini, che sulle prime non aderisce alla protesta perché ritiene che non sia espressa nella dovuta forma, il 20 agosto decide di schierarsi al fianco dei colleghi. A causa del clima reso incandescente da alcuni autori che minacciano di ritirare i propri film dal concorso, l’inaugurazione della manifestazione viene fatta slittare e la sala Volpi è temporaneamente utilizzata come luogo di riunione permanente dai contestatori. Il 26 agosto, dopo aver intimato un ultimatum, la polizia procede allo sgombero dei cineasti rimasti in assemblea: tra questi, Francesco Maselli, Cesare Zavattini e Pasolini, i quali, trasportati fuori dal cinema con la forza, si sottraggono con fatica al linciaggio da parte di una folla di facinorosi di destra.
Il 4 settembre, nonostante l’opposizione del regista che esorta i giornalisti a uscire insieme a lui dalla sala, Teorema, per decisione del produttore Franco Rossellini, viene presentato come da programma prima alla stampa e poi al pubblico, spaccando la giuria e rischiando anche di vedersi attribuito il Leone d’oro. Il film viene attaccato con violenza da ogni parte. Dallo Stato, che lo pone immediatamente sotto sequestro per oscenità, intentando un processo nei confronti dell’autore e dei produttori: l’ordine di sequestro verr poi annullato da una sentenza del 23 novembre 1968 che recita: Lo sconvolgimento che Teorema provoca non è affatto di tipo sessuale, è essenzialmente ideologico e mistico. Trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità, ma gli strascichi giudiziari, con i ricorsi processuali, si protrarranno fin quasi al 1970.
I benpensanti e le destre, accomunati dal disgusto per l’uso, a loro parere, spregiudicato e perverso della sessualità attaccano duramente il film. La critica della sinistra militante, accusa il film di “misticismo”, “reazionarismo” e “religiosità”. Il mondo cattolico, dopo aver insignito il film a Venezia del premio del Office Catholique International du Cinéma, deplora, attraverso un duro articolo di condanna comparso sull’Osservatore Romano. Lo scandaloso accostamento tra sessualità e senso del sacro. Si può dunque sostenere che Teorema segni un’ulteriore tappa nel progressivo e totale isolamento intellettuale di Pasolini.
Il 30 agosto 1969 viene proiettato alla Mostra del Cinema Porcile il ché offre un’ottima occasione per ricevere insulti di tutti i tipi. Ma il regista non sarà nel Festival, Pasolini voleva completamente snobbare Venezia. Ma la cosa non finisce qui, Giovanni Longo di Nicolosi (Catania), allevatore di ovini, denuncia Pasolini e il produttore Gianvittorio Baldi quali responsabili della morte di cinquanta pecore. Longo asserisce che la notte tra il 24 e 25 novembre 1968, incontra da Serra La Nave di Nicolosi, un branco di cani affamati e infreddoliti, dopo essere stati liberati il giorno precedente al termine delle riprese di Porcile, si sono introdotti nell’ovile ammazzando cinquanta pecore. Il procedimento dura cinque anni. Il 20 novembre 1971, il Tribunale civile di Catania respinge la richiesta di risarcimento danni.
Ogni volta che la magistratura interveniva, Pasolini era lì, paziente e risentito, pronto a difendere la sua opera.
Pasolini li traumatizzava. Anche se nelle sue deposizioni era fin troppo disponibile alla discussione. In aula Pasolini non è mai aggressivo, si sente più un collaboratore che imputato, offre alla controparte le chiavi per capire.[12]
Denunciava l’oscenità della televisione, la pornografia scoperta come merce di consumo dal capitalismo. Ogni accusa porta a un processo, costellato da una sequela di ricorsi e di appelli. Tante vicende giudiziarie appaiono oggi come altrettanti momenti di un unico processo intentato contro «lo scandaloso Pasolini». Lo scandalo che l’artista stesso ha rappresentato e continua a rappresentare con la sua pertinace ostinazione nel definirsi diverso[13], diversità che fa parte di questa realtà perduta, scavalcata dai mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, e intrisa di ipocrisia. Ma anche nello schierarsi contro la violenza del potere, la corruzione della classe dominante, la sordità di una Chiesa ufficiale che è inutile al potere[14], i tranelli del moralismo, la scomparsa delle lucciole[15], l’omologazione consumistica[16], gli effetti disgreganti di uno sviluppo che non è progresso[17], ma mercificazione di massa, i falsi miti del suo tempo e i luoghi comuni consolanti.
Il tempo che ci separa dalla sua morte atroce sembra enorme, eppure ancora si sente il bisogno di polemizzare con lui. Pasolini purtroppo stà diventando ormai un’icona: formalmente venerata, sostanzialmente reificata, usata, consumata, abusata, non rispettata.
Silvia Martín Gutiérrez. Processi e procedimenti contro Pasolini. La persecuzione al poeta. 27 aprile 2023/Tutti i diritti riservati
[1] Stefano Rodotà. Pasolini. Imputato di diversità. Intervista su Paese Sera, 21 ottobre 1977. [2] Il proettile d’oro, in Pasolini. Cronaca giudiziaria, persecuzione e morte (a cura di Laura Betti), Milano, Garzanti, 1977,pp.125-127.
[3] Marco Belpoliti. Gli atti impuri di Pier Paolo Pasolini, in Atlante della letteratura italiana, vol. 3, Dal Romanticismo a oggi, a cura di D. Scarpa, Einaudi, Torino 2012, pp. 764-769.
[4] Lettera di P.P. Pasolini a Ferdinando Mautino, da Casarsa 31 ottobre 1949 (timbro postale), in Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Torino, 1986, p. 368
[5] Franco Calderoni. Ma insomma chi è questo Pasolini? di, su Tempo, n.50, 16 dicembre 1961, pp. 28-31
[6] Liliana Madeo Roma. Un uomo diverso, su La Stampa, martedì 4 novembre 1975, p.2.
[7] Pier Paolo Pasolini. Come un incubo dell’infanzia, su Vie Nuove, 28, XVII, 12 luglio 1962, ora in Le belle bandiere. Dialoghi 1960-65, a cura di G.C. Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 207-210.
[8] Trascrizione della registrazione, effettuata presso la durante un dibattito contro la censura di Rocco e i suoi fratelli, vanta tra i partecipanti il critico e politico Antonello Trombadori, Pier Paolo Pasolini e i registi Luchino Visconti, Francesco Maselli e Michelangelo Antonioni. Sezione PCI di Cinecittà. Roma, 9.12.1960.
[9] Lietta Tornabuoni. Se questo è Pasolini «Così iproduttori l’hanno massacrato», La Stampa, giovedì 10 Marzo 1994, p.18.
[10] Pier Paolo Pasolini. Il film e la critica. Sfogo per Mamma Roma su Vie nuove, n. 40, 4 ottobre 1962, p.26 ora in Le belle bandiere. Dialoghi 1960-65, a cura di G.C. Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp.227-232.
[11] Pier Paolo Pasolini in Giovanni Falaschi. Pasolini.I dialoghi, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 50
[12] Stefano Rodotà. Pasolini. Imputato di diversità. Intervista su Paese Sera, 21 ottobre 1977. [13] Pasolini. Lo scandalo radicale. “Numero unico” per il 35º Congresso del Partito Radicale – Budapest 22-26 aprile 1989 – Edizioni in Inglese, Ungherese, Serbo Croat. Archivio Storico del Partito Radicale.
[14] Pier Paolo Pasolini. Chiesa e potere, in Il Corriere della Sera, 6 ottobre 1974 in Scritti corsari, cit., pp. 359-360.
[15] Pier Paolo Pasolini. Il vuoto del Potere in Italia, in Il Corriere della Sera, sabato 1 febbraio 1975.
[16] 7 febbraio 1974 andava in onda Pasolini e…la forma della città. RAI
[17] Pier Paolo Pasolini. Sviluppo e progresso, 1973. L’articolo non fu pubblicato dal Corriere della Sera, ma fu raccolto negli Scritti Corsari.
27 Aprile 2023